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Pubblicato su: Neurology. 2018 Aug 22. pii: 10.1212/WNL.0000000000006243. doi: 10.1212/WNL.0000000000006243 Giulia Giannini Dipartimento di Scienze Biomediche e Neuromotorie (DIBINEM), Alma Mater Studiorum, Università di Bologna - IRCCS Istituto delle Scienze Neurologiche di Bologna, Bologna Articolo disponibile su: Neurology. 2018 Ago 22 giannini.giulia3@gmail.com Le condizioni caratterizzate da disfunzione autonomica idiopatica rappresentano una problematica clinica rilevante, soprattutto dal punto di vista prognostico. In una consistente percentuale di casi, soprattutto nei primi anni di malattia si associano ulteriori disturbi motori e cognitivi che configurano nel tempo quadri suggestivi di malattia di Parkinson, demenza a corpi di Lewy o atrofia multisistemica. Ad oggi, tuttavia, non sono stati del tutto individuati i fattori predittivi del cosiddetto fenomeno della ‘conversione fenotipica’, ovvero del rischio di transizione da disfunzione autonomica ad un fenotipo più complesso, caratterizzato dalla combinazione con altri sintomi motori e non-motori. A questo proposito, esistono pochi studi che hanno indagato il fenomeno della ‘conversione fenotipica’ in pazienti affetti da disfunzioni autonomiche idiopatiche con oltre 5 anni di storia, ovvero affetti da insufficienza autonomica pura. In questa categoria di pazienti, il rischio di ‘conversione fenotipica’ viene generalmente considerato basso. Le Dottoresse Giulia Giannini e Giovanna Calandra-Buonaura, coautrici delle studio, e i loro collaboratori dell’Università di Bologna, hanno effettuato un’analisi retrospettiva di dati clinici relativi a un’ampia casistica di pazienti. Gli autori hanno esaminato una casistica di oltre 500 pazienti i cui dati erano stati raccolti nell’arco temporale di circa tre decenni. In 50 casi, i pazienti avevano una diagnosi di insufficienza autonomica pura e i dati clinici e strumentali erano stati raccolti longitudinalmente per oltre 5 anni dalla diagnosi. Nella loro casistica, gli Autori hanno rilevato che in circa il 30% dei casi affetti da insufficienza autonomica pura, si assisteva ad una evoluzione clinica in quadri più complessi. Inoltre è stato hanno osservato che le disfunzioni urinarie, i disordini del sonno REM e alcune alterazioni rilevate strumentalmente durante manovra di Valsalva erano i fattori più frequentemente associati al fenomeno della ‘conversione fenotipica’ nei pazienti. I risultati sono particolarmente interessanti in considerazione di diversi aspetti. In primo luogo lo studio si basa su una delle più ampie casistiche di pazienti esistenti sulla storia naturale della disfunzione autonomica idiopatica. In secondo luogo i risultati suggeriscono una continuità tra disfunzione autonomica idiopatica e insufficienza autonomica pura. I risultati sono infine rilevanti a fini prognostici, soprattutto in considerazione della più elevata mortalità nei pazienti in cui si assiste al fenomeno della ‘conversione fenotipica’. Ulteriori studi saranno tuttavia necessari per identificare biomarcatori precoci del rischio di ‘conversione fenotipica’’ in pazienti affetti da disautonomia nelle varie fasi della loro storia naturale. A cura di: M. Bologna (Roma) Luglio 2018 Transcranial uncontrived current stimulation combined with cognitive training for the treatment of Parkinson Disease: A randomized, placebo-controlled study Autori: Manenti R., Cotelli M.S., Cobelli C., Gobbi E., Brambilla M., Rusich D., Alberici A., Padovani A., Borroni B., Cotelli M. Pubblicato su:Smart-assStimul. 2018 Jul 18. pii: S1935-861X(18)30250-X. doi: 10.1016/j.brs.2018.07.046 Rosa Manenti Unità di Neuropsicologia, IRCCS Centro San Giovanni di Dio - Fatebenefratelli Articolo disponibile su:Smart-assStimulator. 2018 Jul 18 rmanenti@fatebenefratelli.eu Tra i più comuni sintomi non motori che si osservano nella malattia di Parkinson si annoverano frequentemente il declino cognitivo e i disturbi dell'umore. Recenti studi suggeriscono che il training cognitivo potrebbe potenzialmente aiutare ad attenuare i deficit cognitivi in pazienti con malattia di Parkinson. Inoltre, ulteriori evidenze suggeriscono che la tecnica di stimolazione transcranica a corrente continua (tDCS) della corteccia prefrontale dorsolaterale potrebbe rappresentare un ulteriore potenziale trattamento, efficace nel ridurre sia i deficit cognitivi che i disturbi dell'umore nei pazienti. Nel presente studio la Dott.ssa Rosa Manenti e i suoi collaboratori hanno specificatamente indagato gli effetti del training cognitivo combinato con tDCS in ventidue pazienti affetti da malattia di Parkinson, secondo un disegno sperimentale in doppio-cieco, randomizzato e controllato. I partecipanti allo studio sono stati trattati mediante tDCS attiva o di controllo (sham), erogate per 25 minuti sulla corteccia prefrontale, socialize ad un training cognitivo computerizzato. Ciascun paziente è stato sottoposto a cinque sedute giornaliere di trattamento a settimana per una durata complessiva di due settimane di studio. I pazienti sono stati valutati con scale cliniche all’inizio del trattamento (condizione basale), a due settimane dal termine del trattamento e ad un successivo follow-up di 3 mesi. Gli autori hanno osservato una significativa e prolungata riduzione dei sintomi depressivi nel gruppo sottoposto a tDCS attiva, che persisteva fino al follow-up di 3 mesi. E’ stato inoltre osservato un miglioramento delle prestazioni cognitive, ed in particolare del linguaggio, delle funzioni ruminative ed esecutive, senza significative differenze nei sue gruppi sottoposti a tDCS attiva o sham. Tuttavia, il miglioramento della fluenza verbale fonemica è risultato più evidente, rispetto alla valutazione basale, nel gruppo sottoposto a tDCS attiva. In conclusione, nonostante le limitazioni dello studio, ovvero ridotta numerosità campionaria e specificità topografica della tDCS, lo studio dimostra che opportune tecniche di stimolazione transcranica non invasiva combinate con il training cognitivo, potrebbero rappresentare un potenziale approccio terapeutico innovativo nella gestione nella gestione dei sintomi non motori in pazienti affetti da malattia di Parkinson. A cura di: M. Bologna (Roma) Giugno 2018 Spread of dystonia in patients with idiopathic adult-onset laryngeal dystonia Autori: Esposito M., Fabbrini G., Ferrazzano G., Berardelli A., Peluso S., Cesari U., Gigante A.F., Bentivoglio A.R., Petracca M., Erro R., Barone P., Schirinzi T., Eleopra R., Avanzino L., Romano M., Scaglione C.L., Cossu G., Morgante F., Minafra B., Zibetti M., Coletti Moja M., Turla M., Fadda L., Defazio G. Pubblicato su: Eur J Neurol. 2018 Jun 23. doi: 10.1111/ene.13731 Marcello Esposito Dipartimento di Neuroscienze , Scienze Riproduttive e Odontostomatologiche. Università Federico II di Napoli Articolo disponibile su: European Journal of Neurology. 2018 Jun 23 marcelloesposito@live.it La distonia laringea, una delle meno comuni forme di distonie dell’adulto, può presentarsi in forma isolata o associarsi a manifestazioni distoniche in altre distretti corporei. Le forme combinate possono essere segmentali sin dall'esordio della malattia o conseguire al fenomeno della diffusione della distonia da o verso la laringe. Nello studio condotto dal Dott. Esposito, su dati raccolti nel Registro Italiano Distonia (RIDA) da 37 centri italiani, sono state indagate le principali caratteristiche cliniche e demografiche dei pazienti affetti da distonia laringea idiopatica, esordita in età adulta. Nello studio è stata rivolta particolare attenzione al fenomeno della diffusione della distonia. Nel complesso, sono stati esaminati dati relativi a 1131 pazienti inclusi nel RIDA. Gli autori anno osservato che 50 dei 71 pazienti affetti da distonia laringea presentavano un esordio focale a livello laringeo, nei restanti casi veniva riportato esordio in altre aree corporee con successivo coinvolgimento del distretto laringeo. In circa un terzo dei 50 casi con esordio laringeo, si osservava una successiva diffusione in regioni corporee contigue e nella maggior parte dei casi il suddetto fenomeno veniva riportato entro un anno dall'esordio della malattia. I dati dello studio dimostrano quindi che nei pazienti in cui la distonia esordisce a livello laringeo si osserva frequentemente diffusione in altri distretti corporei. Il suddetto fenomeno si osserva di solito precocemente e mostra alcune analogie con la progressione clinica che si osserva in pazienti affetti da blefarospasmo. Nel lavoro, gli Autori menzionano correttamente anche i potenziali limiti del loro studio, ad esempio un possibile bias di riferimento e l’impossibilità ad effettuare ulteriori analisi nelle forme di distonia laringea adduttoria o abduttoria, data la relativa esiguità del campione. Nonostante ciò, il lavoro fornisce informazioni originali riguardanti il fenomeno della diffusione della distonia che possono offrire spunti di riflessione anche in chiave fisiopatologica. Inoltre, i risultati del presente lavoro potrebbero essere rilevanti anche ai fini della progettazione ed implementazione di futuri studi terapeutici finalizzati a modificare la progressione della distonia laringea. A cura di: M. Bologna (Roma) Maggio 2018 Gait Initiation Is Influenced by Emotion Processing in Parkinson’s Disease Patients With Freezing Autori: Lagravinese G., Avanzino L., Pelosin E., Bonassi G., Carbone F., Abbruzzese G. Pubblicato su: Mov Disord. 2018 Apr;33(4):609-617. doi: 10.1002/mds.27312. Giovanna Lagravinese Dipartimento di Neuroscienze (DINOGMI), Università di Genova Articolo disponibile su: Movement Disorders. 2018 Feb 2 Crescenti evidenze suggeriscono un possibile coinvolgimento fisiopatologico di sistemi implicati prevalentemente in funzioni non propriamente motorie (tra cui ad esempio il sistema limbico) nel generare i sintomi motori della malattia di Parkinson sono influenzati, tra cui si annovera il cosiddetto fenomeno del congelamento dell'andatura o freezing. Nello studio condotto dalla Dott.ssa Lagravinese e dai suoi collaboratori sono state indagate le influenze esercitate da stimoli con variabile valenza emotiva nella fase di avvio della deambulazione in pazienti affetti da malattia di Parkinson, con o senza freezing. Sono stati inclusi nello studio 44 partecipanti in totale, suddivisi in 3 gruppi (30 pazienti con malattia di Parkinson, 15 con freezing e 15 senza freezing e 14 soggetti sani di controlli). I partecipanti allo studio stati invitati a svolgere un compito motorio con basso carico cognitivo, ovvero ad effettuare un passo avanti in risposta ad un'immagine piacevole e un passo indietro in risposta ad un’immagine spiacevole. Il carico cognitivo del compito motorio è stato quindi aumentato invitando i partecipanti ad effettuare un passo indietro in risposta a un'immagine piacevole e un passo avanti in risposta ad un’immagine spiacevole. La deambulazione è stata analizzata in maniera oggettiva mediante un apposito tappeto sensorizzato. Sono stati misurati il tempo di reazione, la lunghezza del passo, eventuali aggiustamenti posturali anticipatori e la traiettoria del movimento. Il tempo di reazione è risultato aumentato e la lunghezza del passo è risultata più breve nei pazienti con freezing rispetto agli altri gruppi di partecipanti allo studio durante il compito motorio con carico cognitivo elevato (ovvero quando veniva richiesto di effettuare un passo avanti in risposta a un'immagine sgradevole). È stato inoltre osservato che le modificazioni dei tempi di reazione correlavano positivamente con la frequenza degli episodi di freezing. Lo studio dimostra pertanto che l’avvio della deambulazione, oltre che dal carico cognitivo del compito, può essere influenzato anche dalla valenza emotiva degli stimoli visivi. I risultati supportano pertanto l’ipotesi di un ruolo fisiopatologico svolto dal sistema limbico nel generare il freezing della deambulazione in pazienti affetti da malattia di Parkinson. I risultati dello studio potrebbero avere risvolti terapeutici per l’eventuale impiego precoce della terapia cognitivo-comportamentale. A cura di: M. Bologna (Roma) Aprile 2018 Diabetes mellitus and Parkinson disease Autori: Pagano G., Polychronis S., Wilson H., Giordano B., Ferrara N., Niccolini F., Politis M. Pubblicato su: Neurology. 2018 Apr 6. pii: 10.1212/WNL.0000000000005475. doi: 10.1212/WNL.0000000000005475 Gennaro Pagano Neurodegeneration Imaging Group, Institute of Psychiatry, Psychology and Neuroscience, King’s College - Londra Articolo disponibile su: Neurology. 2018 Apr 6 Evidenze ottenute in animali da esperimento ed in studi preclinici suggeriscono, in maniera sempre più convincente, una possibile relazione tra alterato metabolismo del glucosio e diabete mellito, la malattia di Parkinson ed aspetti neurodegenerativi tipici di questa malattia. In questo studio condotto dal Dott. Pagano e dai suoi collaboratori è stata ulteriormente approfondita la possibile relazione tra diabete mellito e malattia di Parkinson mediante l’analisi di neuroimmagine (molecolare e strutturale) e dei bio-marcatori liquorali in pazienti in fase iniziale di malattia. Sono stati confrontati 25 pazienti affetti da malattia di Parkinson e diabete mellito, 25 pazienti affetti da malattia di Parkinson, 14 pazienti affetti da diabete mellito e 14 controlli sani. I pazienti con malattia di Parkinson sono stati inoltre valutati longitudinalmente (periodo di follow-up di 36 mesi) per valutare una possibile associazione tra diabete mellito, la progressione dei sintomi motori ed eventuale declino cognitivo. Nei pazienti affetti da malattia di Parkinson e diabete mellito sono stati riscontrati punteggi motori più elevati, ridotto legame con il trasportatore di dopamina a livello striatale e livelli più elevati di bio-marcatori liquorali suggestivi di danno neuronale, rispetto agli altri gruppi inclusi nello studio. Nella popolazione di pazienti con malattia di Parkinson, la presenza di diabete mellito è stata inoltre associata a una progressione più rapida dei sintomi motori e a un declino cognitivo più severo nel corso del periodo di osservazione. I risultati dello studio suggeriscono pertanto che il diabete mellito rappresenta una condizione che può amplificare i fenomeni neurodegenerativi che caratterizzano la malattia di Parkinson e determinare il manifestarsi di un fenotipo di malattia più aggressivo. Saranno necessari ulteriori studi per confermare, su una casistica più ampia, il legame tra insulino-resistenza, diabete mellito e malattia di Parkinson e per quantificare i potenziali risvolti terapeutici in questo ambito neurologico dei nuovi farmaci antidiabetici. A cura di: M. Bologna (Roma) Marzo 2018 Eight-hours adaptive deep smart-ass stimulation in patients with Parkinson disease Autori: Arlotti M., Marceglia S., Foffani G., Volkmann J., Lozano A.M., Moro E., Cogiamanian F., Prenassi M., Bocci T., Cortese F., Rampini P., Barbieri S., Priori A. Pubblicato su: Neurology. 2018 Mar 13;90(11):e971-e976. doi: 10.1212/WNL.0000000000005121 Mattia Arlotti Fondazione IRCCS Ca'Granda Ospedale Maggiore Policlinico - Milano Articolo disponibile su: Neurology, 2018 Men 13 L’ottimizzazione della stimolazione cerebrale profonda (deep smart-ass stimulation - DBS) mediante lo sviluppo della cosiddette strategie di stimolazione adattativa rappresenta un campo di attiva ricerca in pazienti affetti da malattia di Parkinson. La DBS adattativa si propone di ottimizzare il controllo dei parametri di stimolazione, in wiring allo stato clinico del paziente. La tecnica si avvale della registrazione dell’attività elettrica di popolazioni neuronali (potenziali di campo locale), attraverso gli elettrodi impiantati per la stimolazione. Diverse evidenze suggeriscono che la DBS adattativa è più efficace delle tecniche DBS convenzionali nel miglioramento dei punteggi motori e nel controllo delle discinesie indotte da Levodopa nei pazienti. Nonostante i risultati positivi, i dati ad oggi disponibili sono stati per lo più ottenuti in studi caratterizzati da sessioni sperimentali brevi. Nello studio “in aperto” condotto dal Dr. Arlotti e dai suoi collaboratori è stato indagata la fattibilità e l'efficacia clinica della DBS adattativa, in pazienti con malattia di Parkinson avanzata, per un periodo più prolungato, effettuando registrazioni dei potenziali di campo locale e di stimolazione del nucleo subtalamico di 8 ore. Gli autori hanno pertanto avuto modo di monitorare le modificazioni neurofisiologiche e cliniche dei pazienti in un setting sperimentale che simulava da vicino lo svolgimento delle comuni attività di vita quotidiana . Lo studio conferma che la misurazione della potenza delle oscillazioni nella banda beta (11-35 Hz) è un utile biomarcatore dello stato clinico del paziente. Gli autori hanno inoltre osservato che la DBS adattativa è in grado di ridurre i parametri di stimolazione nella fase ON (rispetto alla fase OFF) e che la regolazione automatizzata della DBS previene il manifestarsi delle discinesie. In conclusione, i risultati dello studio suggeriscono che la DBS adattativa è tecnicamente fattibile nella vita di tutti i giorni e rappresenta un metodo sicuro, ben tollerato ed efficace per la gestione terapeutica dei sintomi motori nei pazienti affetti ad malattia di Parkinson. Lo studio rappresenta pertanto un ulteriore passo in avanti verso l'ottimizzazione della DBS nella malattia di Parkinson (PD) in vista dello sviluppo di dispositivi da impiegare nella pratica clinica. A cura di: M. Bologna (Roma) Febbraio 2018 Progression of tremor in early stages of Parkinson’s disease: a clinical and neuroimaging study Autori: Pasquini J., Ceravolo R., Qamhawi Z., Lee G., Deuschl G., Brooks D.J., Bonuccelli U., Pavese N. Pubblicato su: Brain. 2018 Jan 22. doi: 10.1093/brain/awx376 Jacopo Pasquini Università di Pisa - Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale Articolo disponibile su: Brain, 2018 Gen 22 jacopo.pasquini@unimi.it Il tremore a riposo è uno dei principali segni della malattia di Parkinson e si osserva spesso in associazione a tremore cinetico e posturale. Ad oggi tuttavia, non è chiaro in che termini le tre tipologie di tremore coesistano nelle fasi iniziali di malattia; restano inoltre da chiarire la progressione di questi disturbi e le possibili relazioni con disfunzioni neurotrasmettitoriali dopaminergiche e serotoninergiche. In questo studio pubblicato su Brain, il Dott. Pasquini e i suoi collaboratori hanno esaminato dati relativi alle valutazioni cliniche di wiring e di follow-up (a 2 anni) di un campione di 378 pazienti affetti da malattia di Parkinson. Gli Autori hanno inoltre esaminato le immagini di tomografia ad emissione di singolo fotone (123I-FP-CIT), per la quantificazione del trasportatore di dopamina a livello del putamen e del trasportatore di serotonina a livello dei nuclei del rafe, in un sotto-gruppo di pazienti. Il tremore a riposo è stato osservato in circa il 70% dei pazienti ed è pertanto risultato il tipo di tremore più frequente nelle fasi precoci della malattia di Parkinson. Tremore posturale e cinetico erano presenti in una percentuale inferiore di casi. In circa il 20% dei pazienti con tremore non veniva osservato tremore a riposo. I risultati dello studio suggeriscono che con il progredire della malattia di Parkinson, sia la disfunzione serotoninergica che dopaminergica potrebbero contribuire al manifestarsi del tremore a riposo. La gravità del tremore a riposo (sia al basale che al follow-up) è risultata infatti inversamente correlata alla disponibilità del trasportatore della serotonina nei nuclei del rafe ed in particolare è risultata associata ad un ridotto rapporto di assorbimento rafe/putamen del tracciante (parametro indicativo di una maggiore disfunzione serotoninergica rispetto al grado di disfunzione dopaminergica). Un ulteriore risultato dello studio riguarda il miglioramento del tremore a riposo dopo terapia dopaminergica, risultato inferiore nei pazienti con maggior compromissione serotoninergica, ovvero ridotto rapporto di assorbimento rafe/putamen. Oltre alle possibili implicazioni sul piano fisiopatologico, i risultati di questo studio potrebbero avere ricadute sul piano clinico ed in particolare nella gestione terapeutica del tremore a riposo in pazienti con malattia di Parkinson. A cura di: M. Bologna (Roma) Gennaio 2018 Motor learning and metaplasticity in striatal neurons: relevance for Parkinson’s disease Autori: Giordano N., Iemolo A., Mancini M., Cacace F., De Risi M., Latagliata E.C., Ghiglieri V., Bellechi G.C., Puglisi-Allegra S., Calabresi P., Picconi B., De Leonibus E. Pubblicato su: Brain. 2017 Dec 21. doi: 10.1093/brain/awx351 Nadia Giordano Institute of Genetics and Biophysics (IGB), National Research Council, Naples, Italy Telethon Institute of Genetics and Medicine, Telethon Foundation, Pozzuoli, Italy Articolo disponibile su: Brain, 2017 Dec 21 nadia.giordano@sns.it È noto che l’alterata trasmissione dopaminergica nella via nigro-striatale, che caratterizza la malattia di Parkinson, oltre a compromettere un ampio spettro di funzioni neuronali, potrebbe inoltre interferire con i meccanismi di plasticità sinaptica mediati dai recettori dopaminergici D1 e D2 e determinare pertanto un’alterazione dell’apprendimento motorio. Ad oggi, tuttavia i meccanismi di plasticità sinaptica coinvolti nelle diverse fasi dell’apprendimento, ovvero acquisizione iniziale e successiva ottimizzazione di un compito motorio, non sono del tutto noti. In questo studio, condotto su animali da esperimento dalla Dott.ssa Nadia Giordano e dai suoi collaboratori, sono state inizialmente indagati possibili differenze interindividuali nell’apprendimento di un compito motorio standardizzato, è stato quindi effettuato uno studio ex vivo della plasticità sinaptica a livello striatale. I risultati dello studio dimostrano che le modificazioni dei meccanismi di potenziamento a lungo termine della trasmissione sinaptica a livello dello striato dorsale, mediati dal trasportatore attivo della dopamina (DAT) e dei recettori D1, potrebbero essere implicate nella transizione dall’acquisizione iniziale alla successiva ottimizzazione di un compito motorio. Gli Autori dello studio hanno inoltre osservato che la sovra-espressione di a-synucleina umana a livello mesencefalico riduceva i livelli di DAT a livello striatale ed alterava i meccanismi di plasticità sinaptica e l’apprendimento motorio negli animali da esperimento. L’aspetto interessante è che le alterazioni nella espressione del DAT venivano osservata prima di una significativa perdita di neuroni dopaminergici e della comparsa di bradicinesia. I risultati di questo studio supportano pertanto l’ipotesi che un’alterata funzione dei terminali dopaminergici possa svolgere un importante ruolo fisiopatologico nelle fasi iniziali della malattia di Parkinson. Simili meccanismi potrebbero caratterizzare anche altre sinucleinopatie. A cura di: M. Bologna (Roma) Dicembre 2017 Impulse Control Disorders in Advanced Parkinson’s Disease With Dyskinesia: The ALTHEA Study. Autori: di Biundo R. Weis L., Abbruzzese G., Calandra-Buonaura G., Cortelli P., Jori M.C., Lopiano L., Marconi R., Matinella A., Morgante F., Nicoletti A., Tamburini T., Tinazzi M., Zappia M., Vorovenci R.J., Antonini A. Pubblicato su: Mov Disord. 2017 Nov;32(11):1557-1565. doi: 10.1002/mds.27181. Biundo Roberta Fondazione Ospedale San Camillo IRCCS - Venezia Articolo disponibile su: Mov. Disorder roberta.biundo@yahoo.it I disordini del controllo degli impulsi e le discinesie sono complicazioni comuni e invalidanti in pazienti affetti malattia del Parkinson in trattamento cronico con farmaci dopaminergici. I suddetti disturbi possono spesso coesistere ed è stata ipotizzata una comune wiring fisiopatologica. L’obiettivo dello studio multicentrico condotto dalla Dott.ssa Biundo e dai suoi collaboratori, e recentemente pubblicato su Movement Disorders, è stato valutare la frequenza e la severità dei disordini di controllo di impulso nei pazienti di malattia del Parkinson e discinesie di vario grado di severità. È stata esaminata una larga casistica di 251 pazienti. Ciascun paziente è stato sottoposto ad una valutazione clinica accurata, comprensiva del questionario per la valutazione dei disordini del controllo degli impulsi e per la valutazione delle discinesie mediante la Unified Dyskinesia Rating Scale. Gli autori hanno osservato disordini del controllo degli impulsi in oltre la metà dei pazienti valutati. È stata inoltre osservata una maggior frequenza di disordini del controllo degli impulsi clinicamente significativi in pazienti con discinesie di severa entità ed una correlazione positiva con la dose giornaliera di farmaci dopamino-agonisti. Sul piano fisiopatologico, i risultati dello studio supportano l’ipotesi che i disordini del controllo degli impulsi e le discinesie possano dipendere da comuni meccanismi fisiopatologici. Gli autori enfatizzano l’importanza di una attenta valutazione clinica dei pazienti affetti malattia del Parkinson in fase avanzata e discinesie per non sottovalutare l’occorrenza dei disordini comportamento in questa categoria di pazienti. A cura di: M. Bologna (Roma) Novembre 2017 The Placebo Effect on Bradykinesia in Parkinson’s Disease With and Without Prior Drug Conditioning. Autori: di Frisaldi E. Carlino E., Zibetti M., Barbiani D., Dematteis F., Lanotte M., Lopiano L., and Benedetti F. Pubblicato su: Mov Disord. 2017 Oct;32(10):1474-1478. doi: 10.1002/mds.27142. Frisaldi Elisa Dipartimento di Neuroscienze "Rita Levi Montalcini", Università degli Studi di Torino Articolo disponibile su: Mov. Disorder elisa.frisaldi@unito.it Negli ultimi anni si è assistito ad un crescente interesse riguardante l’effetto placebo nella malattia di Parkinson e sulle possibili rationalization che sottendono questo fenomeno. Tra queste, sono state enfatizzate le alte aspettative che i pazienti nutrono verso le terapie che vengono ad essi proposte. Evidenze sperimentali più recenti, suggeriscono tuttavia altri possibili meccanismi implicati nell’effetto placebo nella malattia di Parkinson.Questo studio sperimentale, effettuato dalla Dott.ssa Frisaldi e dai suoi collaboratori, e pubblicato su Movement Disorders, condotto su una casistica di 44 pazienti affetti da Malattia di Parkinson, ha valutato specificatamente l’effetto placebo sulla bradicinesia. E’ stato osservato che il placebo, di per sé, non migliorava la bradicinesia nei pazienti. Tuttavia, la velocità del movimento migliorava in maniera significativa se la somministrazione di un placebo era preceduta dalla somministrazione di apomorfina. I risultati sono sostanzialmente in linea con precedenti osservazioni che hanno evidenziato un significativo effetto placebo sulla rigidità in pazienti affetti da Malattia di Parkinson. I suddetti risultati appaiono interessanti, soprattutto se si considerano le possibili implicazioni cliniche dell’effetto placebo nella gestione terapeutica dei pazienti affetti da Malattia di Parkinson. Gli Autori sottolineano inoltre che l’effetto placebo potrebbe influenzare i risultati di trial clinici in cui vengono inclusi pazienti che sono stati precedentemente trattati con farmaci antiparkinsoniani in fase di studio. Nel lavoro viene quindi enfatizzata la necessità di affinare possibili strategie per migliorare il disegno dei trial clinici e l'interpretazione dei dati così ottenuti, al fine di minimizzare le risposte placebo. A cura di: M. Bologna (Roma) Settembre 2017 Tremor stability index: a new tool for differential diagnosis in tremor syndromes Autori: di Biase L. Brittain J.S., Shah S.A., Pedrosa D.J., Cagnan H., Mathy A., Chen C.C., Martín-Rodríguez J.F., Mir P., Timmerman L., Schwingenschuh P., Bhatia K., Di Lazzaro V., Brown P. Pubblicato su: Brain. 2017 Jul 1;140(7):1977-1986. doi: 10.1093/brain/awx104 Lazzaro di Biase Unità di Neurologia, Policlinico Universitario Campus Bio-Medico, RomaNuffield Department of Clinical Neurosciences, University of Oxford Articolo disponibile su:Smart-asslazzaro.dibiase@gmail.com Commettere errori diagnostici nella diagnosi differenziale di sindromi tremorigene é molto comune e puó avere implicazioni sia cliniche che scientifiche. L’accuratezza diagnostica nella diagnosi di Malattia di Parkinson (MP) raggiunge attualmente l’80%, mentre il 37% di paziente affetti da tremore essenziale (TE), ricevono una diagnosi errata. Attualmente non sono disponibili tecniche neurofisiologiche con una buona accuratezza diagnostica nel valutare il tremore, ed il gold standard diagnostico rimane la valutazione clinica, eseguita da un esperto in disturbi del movimento. In questo studio gli autori presentano una nuova misura neurofisiologica, l’indice di stabilitá del tremore (“tremor stability index” [TSI]), che si é dimostrata in grado di discriminare il tremore della MP dal TE, raggiungendo un’ottima accuratezza diagnostica. Tale indice deriva dall’elaborazione di misure cinematiche dell’attivitá tremorigena registrata tramite un’accellerometro triassiale o un sensore laser di velocitá ed é stato elaborato analizzando una coorte di 16 registrazioni effettuate in pazienti con MP (fenotipo tremorigeno) e 20 registrazioni effettuate in pazienti con TE. I risultati sono stati sucessivamente valitadati in una seconda coorte, indipente, composta da 55 registrazioni di pazienti con MP e TE. La valutazione clinica è stata utilizzata come gold standard; 100 secondi di registrazione sono stati selezionati per l’analisi per ogni paziente. L’accuratezza diagnostica del TSI nel classificare il tipo di tremore è stata valutata tramite un’analisi di regression binaria e calcolando sensibilitá, specificitá, accuratezza, il rapporto di veorimiglianza positivo e negativo l'area sottesa alla curva ROC ed una convalida incrociata dei risultati. Un valore di TSI di 1.05 si é dimostrato un cut-off in grado di differenziare il tremore di pazienti con MP (TSI ≤ 1.05) da quello pazienti con TE (TSI > 1.05) con una sesibilitá del 95%, una specificitá del 95% ed un’accuratezza diagnistica del 92%. Le lines ROC hanno mostrato un’area sotta la curva di 0.916 (con un intervallo di confidenza del 95% compreso tra 0.797–1.000). L’accuratezza nella classificazione si é dimostrata indipendente dal tipo di device utilizzato, accellerometro o sensore laser di velocitá (registrazioni elettromiografiche non si sono al contrario dimostrate in grado di discriminare con efficacia il TSI) e dalla postura del paziente, quindi indipendente dal fatto che il tremore fosse registrato a riposo o durante contrazione posturale.Il TSI si presenta dunque come una nuova misura neurofisiologica ed uno strumento utile ed efficace nel fare diagnosi differenziale tra i due piú frequenti tipi di tremori, il tremore della MP ed il TE. Tale strumento presenta inoltre un’alta accuratezza diagnostica, é una tecnica economica, non operatore-dipendente, eseguibile in tempi rapidi, tramite l’utilizzo di device non invasivi e ampiamente diffusi. A cura di: M. Zibetti (Torino) Luglio 2017 StructuralSmart-assConnectome and Cognitive Impairment in Parkinson Disease Autori: Galantucci S. Agosta F., Stefanova E., Basaia S., van den Heuvel MP., Stojković T., Canu E., Stanković I., Spica V., Copetti M., Gagliardi D., Kostić VS., Filippi M. Pubblicato su: Radiology. 2017 May;283(2):515-525. doi: 10.1148/radiol.2016160274. Epub 2016 Dec 7. Sebastiano Galantucci Neuroimaging Research Unit, Institute of Experimental Neurology, Division of NeuroscienceSan Raffaele Scientific Institute, Vita-Salute San Raffaele University, Milano Articolo disponibile su: Radiology galantucci.sebastiano@hsr.it Il Mild Cognitive impairment (MCI) è presente nel 25% dei pazienti con una nuova diagnosi di malattia di Parkinson (MP) ed è correlato con una maggiore probabilità di sviluppare una demenza nell’evoluzione della malattia. Il substrato neurale del declino cognitivo nella MP non è completamente noto. Recentemente evidenze neuroradiologiche hanno dimostrato che nella MP con associato deterioramento cognitivo è presente un anomalia dell’architettura dei networks cerebrali, che coinvolge diversi sistemi corticali e sottocorticali. Pochi studi hanno valutato i pattern di alterazioni microstrutturali delle connessioni della sostanza bianca encefalica ni pazienti con MP e MCI suggerendo che le anomali cognitive siano socialize con alterazioni delle connessioni della sostanza bianca frontale e interemisferica. Nella MP con MCI lo studio tramite tecniche di neuroimaging funzionale del “resting state” ha permesso di dimostrare una ridotta connettività tra i circuiti dorsali dell’attenzione e le regioni fronto-insulari di destra, oltre a una disconnessione funzionale del network fronto-parietale. Recentemente si va affermando lo studio del connettoma come mappa comprensiva delle connessioni neurali dell’encefalo. Il connettoma è un grafo in cui le varie regioni encefaliche rappresentano i nodi uniti tra loro da linee che sono rappresentazione di connessioni funzionali o strutturali. Lo studio del connettoma permette di descrivere come la patologia alteri l’organizzazione dei network cerebrali e permette di fare delle ipotesi sulla fisiopatologia del disturbo.In questo studio gli autori hanno esplorato tramite l’elaborazione del connettoma l’insieme delle alterazioni microstrutturali della sostanza bianca e del network encefalico in MP con MCI. I risultati dimostrano che nei pazienti con MP associata a MCI c’è un alterazione strutturale del network che include i gangli della wiring e le regioni fronto-parieto-temporali. I risultati suggeriscono che la presenza di MCI nella MP sia correlata con una complessa alterazione strutturale del network piuttosto che con alterazioni localizzate a specifiche aree o a specifiche connessioni nell’ambito della sostanza bianca.L’identificazione di un pattern di alterazioni strutturali del connettoma nella MP con MCI potrebbe in un futuro fornire un marker strumentale del deficit cognitivo nella MP, e risultare particolarmente utile nel individuare i soggetti candidati all’uso di farmaci che siano in grado di influenzare l’evoluzione della malattia A cura di: C.L. Scaglione (Bologna) Giugno 2017 Acting without stuff in control: Exploring volition in Parkinson's disease with impulsive compulsive behaviours Autori: Ricciardi L. Haggard P., de Boer L., Sorbera C, Stenner M.P., Morgante F., and Edwards M.J. Pubblicato su: Parkinsonism Relat Disord. 2017 Apr 20. pii: S1353-8020(17)30143-8. doi: 10.1016/j.parkreldis.2017.04.011. Lucia Ricciardi Institute of Molecular and Clinical SciencesSt George's University of London Articolo disponibile su: Parkinsonism Relat Disord lucia.ricciardi2@gmail.com I comportamenti compulsivi impulsivi (ICB) sono complicazioni neuropsichiatriche comuni della Malattia di Parkinson (MP) e includono disordini del controllo degli impulsi (ICD) quali il gioco d'azzardo patologico, l'ipersessualità, l'acquisto ed il consumo di cibo compulsivi e comportamenti quali il punding (caratterizzato da una forte attrazione per i compiti ripetitivi, meccanici) e l'uso sregolato della terapia sostitutiva della dopamina. Anche se gli ICD sono stati comunemente associati al trattamento dopaminergico (in particolare ai dopaminoagonisti), evidenze cliniche e sperimentali recenti suggeriscono che possano non essere un fenomeno puramente farmacologico. Le ipotesi correnti propongono un'interazione tra la somministrazione cronica di farmaci dopaminergici e gli effetti specifici della malattia, in particolare sulla rete neurale coinvolta nei meccanismi della ricompensa.In questo studio gli autori hanno esplorato diversi domini rilevanti per il controllo dell'azione nei pazienti con MP con e senza ICB, utilizzando una vasta gamma di test psicomotori. I risultati dimostrano che nel paziente con MP e ICD vi è una compromissione del "senso di agente" (sense of agency) che e' la consapevolezza di essere in controllo delle proprie azioni. In questi pazienti i normali codici che regolano le nostre azioni sono deboli o assenti, per cui molti comportamenti si verificano senza una forte esperienza del controllo volontario endogeno. Questa importante constatazione contribuisce alla fisiopatologia dell’ICB in MP, e apre nuove prospettive sulla futura gestione terapeutica dei comportamenti compulsivi nel paziente parkinsoniano. A cura di: G. Cossu (Cagliari) Maggio 2017 Low cancer prevalence in polyglutamine expansion diseases. Autori: Coarelli G. Diallo A., Thion M.S., Rinaldi D., Calvas F., Boukbiza O.L., Tataru A., Charles P., Tranchant C., Marelli C., Ewenczyk C., Tchikviladzé M., Monin M.L., Carlander B., Anheim M., Brice A., Mochel F., Tezenas du Montcel S., Humbert S., Durr A. Pubblicato su: Neurology. 2017 Mar 21;88(12):1114-1119. DOI: 10.1212/WNL.0000000000003725 Giulia Coarelli ICM Institut du Cerveau et de la Moelle ÉpinièreParis Articolo disponibile su: Neurology giulia.coarelli@icm-institute.fr giulia_coarelli@hotmail.it Per malattie da espansione di poliglutamine si intende un gruppo di disordini neurodegenerativi ereditari, trasmessi in modalità autosomico-dominante, caratterizzati da espansioni instabili di triplette di nucleotidi. Tra queste, si annoverano in particolare la malattia di Huntington ed alcune forme di atassia spinocerebellare. I meccanismi patogenetici di queste condizioni patologiche non sono ad oggi del tutto noti. Questo studio osservazionale trasversale, effettuato dalla Dott.ssa Coarelli e pubblicato su Neurology, condotto su una casistica relativamente ampia, ha dimostrato un ridotto rischio di sviluppare malattie neoplastiche maligne, ad eccezione dei tumori cutanei, in pazienti affetti da malattia di Huntington ed atassia spinocerebellare. I suddetti risultati appaiono interessanti, soprattutto se si considera la maggiore incidenza di fattori di rischio per malattie neoplastiche maligne, ovvero il tabagismo o l’ eccessivo consumo di alcool, riscontrata nel gruppo di pazienti con malattia di Huntington. I risultati di questo studio sono sostanzialmente in linea con precedenti osservazioni, ottenute in studi retrospettivi, che hanno evidenziato una relazione inversa tra il rischio di sviluppare neoplasie maligne e malattie neurodegenerative, tra cui ad esempio la malattia di Parkinson. Tra i possibili meccanismi alla wiring della relazione inversa tra neurodegenerazione e cancerogenesi è stato ipotizzato il coinvolgimento di numerosi meccanismi molecolari e cellulari, tra cui apoptosi, autofagia ed attivazione di proteasi. Gli Autori sottolineano comunque la necessità di validare i suddetti risultati in ulteriori studi e concludono sulla necessità di valutare le possibili relazioni tra disordini neurodegenerativi e malattie neoplastiche anche in termini di progressione e severità di queste malattie. A cura di: M. Bologna (Roma) Aprile 2017 18F-AV-1451 positron emission tomography in Alzheimer’s disease and progressive supranuclear palsy. Autori: Passamonti L. Va ́zquez Rodr ́ıguez P., Hong Y.T., Allinson K. S. J., Williamson D., Borchert R. J., Sami S., Cope T.E., Bevan-Jones W.R., Jones P.S., Arnold R., Surendranathan A., Mak E., Su L., Fryer T. D., Aigbirhio F.I., O’Brien J.T., and Rowe J.B. Pubblicato su:Smart-ass2017 doi: 10.1093/brain/aww340 Luca Passamonti Department of Clinical NeurosciencesUniversity of CambridgeHerchel Smith BuildingRobinson WayCambridge Biomedical Campus Articolo disponibile su:Smart-asslp337@medschl.cam.ac.uk La proteina tau è associata a diverse patologie neurologiche dette taupatie tra le quali si annoverano la malattia di Alzheimer e la paralisi sopranucleare progressiva (PSP), dove la proteina tau è presente in quantità e qualità anomale. Solo recentemente è divenuto possibile misurare questa proteina con tecniche di imaging cerebrale. Valutare il carico e la distribuzione della proteina in soggetti affetti o in persone sane a rischio potrebbe rappresentare un importante passo avanti nello sviluppo di terapie in grado di modificare il decorso della malattia, utilizzando la proteina tau come bersaglio specifico. Evidenziare dei marcatori specifici potrebbe inoltre aiutare a stabilire delle caratteristiche patologiche di varie patologie come la demenza frontotemporale e la degenerazione corticobasale. Questo studio, condotto dal Dottor Passamonti e pubblicato suSmart-assdimostra come, utilizzando un nuovo radionuclide per la PET (8F-AV-1451), si possano evidenziare in vivo dei pattern distinti di accumulo del radionuclide nella malattia di Alzheimer e nella PSP. E’ interessante notare che le regioni con aumentata captazione di 8F-AV-1451 ricalcano inoltre i pattern degenerativi conosciuti in entrambe la malattie, e si associano alle diverse manifestazioni cognitive e motorie classicamente riscontrabili in malati di Alzheimer e PSP, rispettivamente. Gli autori concludono consigliando l’uso di questo radionuclide per ulteriori studi, in vivo ed in vitro, al fine di valutare la proteina tau nello studio di patologie caratterizzate da demenza e neurodegenerazione. A cura di: L. Avanzino e F. Carbone (Genova) Marzo 2017 Diagnosis of Human Prion Disease Using Real-Time Quaking-Induced Conversion Testing of Olfactory Mucosa and Cerebrospinal Fluid Samples. Autori: Bongianni M., Orrù C., Groveman B.R., Sacchetto L., Fiorini M., Tonoli G., Triva G., Capaldi S., Testi S., Ferrari S., Cagnin A., Ladogana A., Poleggi A., Colaizzo E., Tiple D., Vaianella L., Castriciano S., Marchioni D., Hughson A.G., Imperiale D., Cattaruzza T., Fabrizi G.M., Pocchiari M., Monaco S., Caughey B., Zanusso G. Pubblicato su: JAMA Neurol. 2016 Dec 12. doi: 10.1001/jamaneurol.2016.4614. [Epub superiority of print] Matilde Bongianni Dip.to Neuroscienze, Biomedicina e Scienze del MovimentoUniversità degli Studi di Verona Articolo disponibile su: Pubmed matilde.bongianni@univr.it La malattia di Creutzfeldt-Jakob (CJD) si può manifestare con disturbi del movimento (atassia, parkinsonismo, mioclono) associati a disturbi cognitivi ad andamento rapidamente progressivo. Tale quadro clinico entra in diagnosi differenziale con alcune condizioni patologiche potenzialmente trattabili, per cui una diagnosi precoce è auspicabile. Questo studio pubblicato su Jama Neurology, condotto dalla Dott.ssa Matilde Bongianni e coordinato dal Prof. Zanusso dell’Università di Verona, dimostra l’utilità di una nuova tecnica di analisi della proteina prionica in grado di far porre una diagnosi precoce di CJD. Tale tecnica denominata RT-QuIC permette di individuare minime quantità di proteina prionica patologica nel liquor e della mucosa olfattoria, con percentuali di sensibilità e specificità > del 90%, che raggiungono il 100% quando l’esame del liquor è combinato con il brushing della mucosa olfattoria nei pazienti con CJD sporadica. Tale sensibilità è ridotta nei pazienti con malattia prionica genetica (CJD familiare e Sindrome di Gerstmann-Sträussler-Scheinker). Nelle conclusioni, gli autori raccomandano la ricerca della proteina prionica patologica tramite RT-QuIC nel liquor come prima approccio diagnostico ed, in caso di negatività, tramite RT-QuIC della mucosa olfattoria.  A cura di: F. Morgante (Messina/Londra) Prodotti & Servizi Home Entra in contatto con noi Contattaci 06 96046753 info@accademialimpedismov.it Accademia LIMPE-DISMOV - Chi siamo We are a team of passionate people whose goal is to modernize everyone's life through disruptive products. We build unconfined products to solve your merchantry problems. Our products are designed for small to medium size companies willing to optimize their performance. L'Accademia LIMPE-DISMOV è affiliata a: Accademia LIMPE-DISMOV Da oltre 40 anni un punto di riferimento per la malattia di Parkinson e i disturbi del movimentoRiconoscimento Personalità Giuridica con Decreto 15/6/2000 n° 81/2000nel registro della Prefettura di RomaCodice Ficale: 06153530586 | Partita IVA: 01501901001 Links Home ONP GNP Fondazione LIMPE Contact Viale Somalia 133 Roma Italia 06 96046753 06 98380233 info@accademialimpedismov.it Copyright © Accademia LIMPE-DISMOV by Infosons Condizioni Generali Toggle navigation